I grandi fotografi del 900

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Quali sono i più grandi fotografi del 900? Domanda a cui è praticamente impossibile rispondere. Qui andiamo a parlare di alcuni degli artisti che hanno influito sullo sviluppo di questa forma d’arte durante il secolo scorso.

Robert Capa

Robert Capa entra nella storia della fotografia del 900 portando sotto gli occhi di tutti la guerra. Non che non se ne parlasse sui giornali, ma lui la fotografa da vicino. Lavora fianco a fianco con miliziani e soldati nello svolgimento delle loro mansioni inclusi assalti e combattimenti dalla seconda metà degli anni 30 fino al 1954.

Proprio per questa ragione viene indicato come il primo reporter di guerra. Anche se non hai mai studiato fotografia è letteralmente impossibile che tu non abbia visto uno dei suoi scatti.

Durante la sua carriera, coprì infatti i conflitti armati più importanti del secolo. Negli anni ’30 si trovava in Spagna con l’esercito repubblicano e nel 1936 immortala la scena di un miliziano colpito a morte da un proiettile. Qui trovi uno spezzone di un’intervista in cui parla di quello scatto.

Nel 1944 sbarca con gli alleati ad Omaha Beach dove vengono scattate Magnifiche 11. Si tratta delle uniche foto dello sbarco sopravvissute all’assalto e all’inesperienza di uno stagista Londinese di 15 anni della rivista Life. Sono proprio queste foto ad inspirare la famosissima scena dello sbarco di Spielberg in Salvate il Soldato Ryan.

Dopo a guerra fonda insieme a Cartier-Bresson, Rodge, Seymour e Vandivert fonda l’agenzia Magnum a Parigi. Dopo un pò di vita da latin lover e un pizzico di quella che probabilmente oggi sarebbe chiamata ludopatia, si sposta in Asia per coprire la guerra di Indocina. E’ proprio qui che nel 1954, una mina metterà fine alla sua carriera di giramondo armato di Leica.

Il lascito nel mondo della fotografia non riguarda tanto particolari aspetti tecnici, compositivi o artistici. Piccolo inciso, questo non vuol dire che in molti non riconoscano una componente artistica nella sua opera eh? Quello che invece lascia Capa o Friedmann al mondo della fotografia è la storia. Fu tra i primi a sbattere la realtà della guerra in faccia alla gente in giro per il mondo. Nessuno prima di lui fu in grado di fare qualcosa del genere.

Si, ho scritto Friedmann, c’è tutta una diatriba sull’identità di Robert Capa e sul fatto che usasse questo pseudonimo. C’è addirittura chi parla del mistero di Robert Capa.

Henri Cartier-Bresson

Cartier Bresson è un fotografo molto interessante. Durante tutta la sua carriera è stato definito come un fotoreporter, ma la componente artistica in lui è molto più marcata che nelle opere di Robert Capa.

Affermava che raccontare i fatti è noioso. I fatti sono solo cose che succedono e in quanto tali non interessano a nessuno. Ciò che rende interessante è il punto di vista. Quello che converte un articolo di giornale in un’opera degna di essere letta è il punto di vista. Allo stesso modo la fotografia se non ha il potere dell’evocazione, è solo il racconto di un noioso fatto.

Consta che Robert Capa, con il quale aveva fondato la Magnum, gli aveva detto di non definirsi come surrealista perché altrimenti avrebbe corso il rischio di perdere molti incarichi. Malgrado ciò il surrealismo è una costante ricorrente nelle sue fotografie.

Texture, patterns, ripetizioni geometrie sono ricorrenti e onnipresenti nei suoi scatti. In una intervista afferma che il riuscire a catturarli all’interno di una fotografia generava in lui un “gusto intellettuale” con il quale si sentiva appagato ogni volta che riguardava una sua fotografia.

Un’altro punto di vista assai interessante che proponeva Bresson riguarda il ritratto. Per lui il ritratto è sempre stato un genere fotografico tra i più complicati. Affermava che ne esistevano di due tipi il “potrait” e lo “snapshot”. Il secondo era semplicemente uno scatto rubato a qualcuno che non se ne accorgeva e quindi incontaminato, non influenzato dall’obiettivo.

Il ritratto vero e proprio, stando alle sue parole, presenta un problema. La consapevolezza della presenza del fotografo fa reagire la persona in una determinata maniera che può essere innaturale. Questo ha due effetti. Il primo è la mancanza di spontaneità del soggetto e il secondo il metterlo a nudo.

Il sentimento che evoca in una persona l’obiettivo rivela secondo Cartier-Bresson un lato molto profondo della personalità. Può far trasparire vergona, chiusura, insicurezza oppure far venire a galla sicurezza, voglia di mettersi in mostra, superbia, ecc.

Proprio per questo motivo un ritratto doveva essere eseguito “in punta di piedi”, mentre il soggetto si trova nel suo habitat, tra le sue cose, nelle sue abitudini. Il tutto mentre il fotografo si aggira e scatta come farebbe un gatto.

Steve McCurry

Con Steve McCurry ci spostiamo in avanti sulla linea temporale dei grandi fotografi del 900. Appartiene infatti alla generazione successiva a quelle dei fondatori della Magnum ed è uno dei padri della fotografia moderna a colori.

Lui è sempre andato in giro come se avesse avuto una macchina fotografica da viaggio. Anche oggi continua a viaggiare per il mondo per raccontare la storia delle gente di culture molto diverse tra loro.

L’uso dell colore con toni molto vividi è la firma che McCurry lascia in tutte le sue fotografie. Basta pensare alla famosissima Ragazza Afgana e capisci subito a cosa mi riferisco. Questa sua peculiarità deriva da una curiosità tecnica di questo fotografo.

Quando utilizzava le macchine a pellicola, il suo rullino preferito era il KodakCrome, molto apprezzato da chi amava i contrasti e la vividezza dei colori. Oggi, questa pellicola è fuori produzione e Steve è passato al digitale. A questo proposito esiste un documentario del National Geographic super interessante che parla proprio di questo fotografo e dell’ultimo rullino di KodakCrome prodotto e da lui usato.

Oggi McCurry usa una moderna reflex Nikon D810 e quasi tutti i suoi scatti sono fatti con un obiettivo 24-70 mm. In diverse interviste ha dichiarato che preferisce sacrificare la completezza di un corredo in favore della facilità di movimento e comodità.

Fotoreporter di guerra e giramondo, il genere che maggiormente predilige è il ritratto. Raccontare la guerra tramite la distruzione non è mai stato nelle sue corde. Quella che invece domina con grande maestria è la capacità di raccontare una storia tramite lo sguardo della persona che sta ritraendo. Detto in soldoni, non ritrae la distruzione della guerra ma il segno che questa riesce a incidere sul volto della gente.

Hai la curiosità di sapere quali macchine fotografiche utilizzavano questi fotografi? Ovviamente non stiamo parlando di reflex moderne e tantomeno di mirrorless! Se ti piacerebbe leggere a riguardo, lascia un commento, preparerò un articolo ad hoc!

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